GAETANO ANTONIO CALLIDO
Este (Padova), 14 gennaio 1727 – Venezia, 8 dicembre 1813

La Scuola Veneta del Settecento riconosce come fondatore e maestro il dalmata don Pietro Nacchini, o Nakich, nato a Bulich nel 1694 e morto, probabilmente a Venezia, negli anni 65-70 del secolo seguente. Uscito forse dalla bottega del veneziano Giovanni Battista Piaggia, iniziò l’attività organaria nel 1727 approfondendo gli studi sugli strumenti di Eugenio Casparini (1623-1706), in particolare su quello che nel 1737 restaurò nel monastero benedettino di Santa Giustina a Padova. La sua produzione fu cospicua, estesa a tutto il territorio della Serenissima con quasi 350 organi.
Gaetano Antonio Callido nacque ad Este (Padova) il 14 gennaio 1727 da Agostino e Veneranda Tagliapietra. Fu allievo giovanissimo di don Pietro Nacchini dal 1742, quando questi lavorava all’organo di Santa Tecla della natia Este e rimase sempre affettuosamente unito al maestro anche quando le loro vie si separarono, tant’è vero che don Pietro Nacchini – come risulta dall’Archivio parrocchiale dei SS. Apostoli in Venezia – battezzò nel 1757 un figlio di Callido (in questa chiesa esiste un organo Callido del 1766, opera n.25).
Gaetano Callido fu il discepolo che per capacità e notorietà superò il maestro.
Lavorò con lui per oltre vent’anni, ciò nonostante nel 1748 firmò l’opera n.1, nella parrocchiale di Casale Scodosia (Padova), dedicandola al maestro.
Dal 1762, quando si rese indipendente, Callido costruì 434 organi non solo nell’area della Repubblica di San Marco (Nord-Est italiano, Istria e Dalmazia), Emilia-Romagna e Marche, ma oltre, fino nel Levante, in Terra Santa, a Costantinopoli, a Smirne, ad Alessandria d’Egitto, a Londra. Nella sola Treviso collocò 25 organi e ben 48 a Venezia, tra cui gli organi della basilica di San Marco (1766), della basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari (1795-96), del duomo di San Lorenzo di Mestre (1801), del duomo di San Giovanni Battista di Gambarare di Mira, della chiesa dei SS. Vito e Modesto di Spinea (1773); una notevole parte di questi organi è ancora efficiente.
Già nel 1763 si trovava a dover costruire sei organi, di cui uno a due manuali. Il 23 aprile 1766, già segnalato ai Procuratori da F. Bertoni e G.B. Pescetti come l'organaro che “occupa migliore fama degli altri di simil genere per l'applauso che hanno riportato di lui opere fatte in questa città come altrove” accetta il prestigioso incarico di costruire completamente ex-novo i tre organi della basilica di San Marco a Venezia: i due laterali, tanto malmessi da non essere suscettibili di riparazioni, e l'organo del palchetto. Tutti e tre vengono costruiti nel 1766: il primo porta il numero d’opera 29, il secondo di piedi 12 il numero 30, il terzo 31. Prezzo: 1400 ducati oltre tutto il materiale dei vecchi organi. Nel 1770 ne fu nominato organaro conservatore stabile.
La sua instancabile attività – con un ritmo di produzione che si mantenne all'incirca sulla media dei dieci organi all'anno – e le benemerenze e i vantaggi che ne derivavano a lui e a Venezia furono riconosciuti dal Senato che, con decreto del 27 marzo 1779, lo esentò da tutti i dazi di transito e stradali per il trasporto di suoi strumenti fuori del territorio della Repubblica. Per questo motivo doveva imprimere a fuoco il suo marchio G+C sulle parti lignee dell’organo. Gli eventi politici e i mutamenti economico-sociali della fine del secolo XVIII, in particolar modo la soppressione delle corporazioni religiose decretata dal governo napoleonico, non sembrano aver influito granché sul suo lavoro, che continuò a ritmo sostenuto sino al 1806 quando la gestione della fabbrica passò nelle mani dei figli.
Fu grande organaro, attento nella costruzione e preciso nelle consegne, ma pessimo letterato, tanto da passare tutto il lavoro di corrispondenza e contabilità della ditta al figlio Antonio, che godeva di regolare procura, mentre Agostino lo seguiva nell’officina e nelle parrocchie.
Perfezionò ulteriormente l’organo nacchiniano e, pur nella grossa produzione, serbò l’alta qualità, curando nei minimi particolari tutte le parti metalliche e in legno, scegliendo per le casse e per le canne in legno un particolare tipo di abete, la picea harmonica o abies harmonica, che già cadendo lungo le “risine” rimbombava in maniera misteriosa.
Curava particolarmente il cosiddetto “casamento” cioè la collocazione dell’organo, le sue dimensioni rispetto alle reali esigenze della chiesa, e con una perfetta accordatura li rendeva dei capolavori.
Dalle mani di Gaetano Callido uscirono strumenti di una sonorità così vaga, limpida, trasparente, da apparire inimitabile; la loro semplicità di struttura, le misure originali e la magistrale intonazione portarono al più alto prestigio la scuola veneziana.
Callido fu stimato tanto dal suo maestro quanto dai suoi contemporanei. Un valido giudizio su Callido – nonostante le comprensibili critiche – fu pronunciato da un suo competitore altrettanto celebre, Giuseppe Serassi (1750-1817): “Sono da lodare tali organi dove se lo meritano: giacché tutte le parti da me vedute sono travagliate con molta maestria tanto ne’ somieri, mantici, nelle tastiere, e ciò che è di legname, quanto nelle canne di stagno o di piombo con stagno misto, essendo ben trafilate, saldate intuonate, e condotte con buona accordatura”. Le critiche di Serassi riguardano l’uniformità delle progettazioni, l’uso del somiere a tiro a cui Callido diede la preferenza, l’estensione limitata della tastiera, l’esclusione dei registri orchestrali e bandistici tanto cari al romanticismo serassiano, la povertà di ancie…, ma questi rilievi sono il miglior elogio alla coerenza stilistica del Callido.
L’altra caratteristica di questi organi è l’uso dei registri spezzati con divisione fra la parte acuta e quella grave della tastiera, questa divisione offriva la possibilità di ottenere “due colori diversi”, ovviando così solo in parte alla necessità di avere due tastiere.
Attento costruttore e geloso custode dell’organaria, era consapevole della preparazione improvvisata e frammentaria di molti organisti, ottenuta spesso su testi poco pertinenti alla pura interpretazione organistica; per questo inseriva in ogni organo una tabella per l’uso corretto del suo strumento.
Gli schemi della fonica di centinaia d’organi usciti dal laboratorio di Callido, potrebbero sembrare un’involuzione rispetto alle conquiste raggiunte dall’organaria settecentesca italiana; sono invece una sintesi di raro equilibrio che, mantenendo l’idealità fonica classica, ripudia le complicazioni del barocco: nella scuola veneta tutto torna semplice ed essenziale.
Della sua prodigiosa attività rimane il resoconto schematico nell'elenco degli organi da lui costruiti; si tratta di tre tabelloni di tela su cui sono scritti ad inchiostro di china in ordine cronologico e con numerazione progressiva i nomi delle località e delle chiese in cui furono costruiti gli organi. L'elenco si ferma al numero 430 nel 1806. Esso si trova oggi in possesso della Biblioteca “Renato Lunelli” di Trento, cui pervennero in dono dalla famiglia Bazzani.
Gaetano Callido si spense a Venezia l'8 dicembre 1813.
Gaetano Callido aveva sposato Maddalena Maria Brunetti e da questo matrimonio erano nati cinque figli, di cui soltanto due seguirono e continuarono, con rallentato ritmo, l’attività paterna: Agostino (3/5/1759 - 29/6/1826) e Antonio (11/4/1762 - 18/11/1841). La loro officina fu rilevata dai Bazzani, organari di origine friulana per lungo tempo alla scuola dei Callido, che esercitarono l’arte per quattro generazioni: Bazzani Giacomo Senior (1771-1856); poi i suoi figli Alessandro Senior (1814-1872) e Pietro Senior (1816-1880); i nipoti (figli di Alessandro) Giacomo (†1916) e Pietro (†1950); i pronipoti Alessandro (†1937) e Lorenzo (†1965).

 

State ascoltando:
Ach bleib bei uns, Herr Jesu Christ BWV 649 di Johann Sebastian Bach (1685-1750)